venerdì, giugno 23, 2006

Savoia (3): il senso della monarchia

L'arresto di Vittorio Emanuele di Savoia e il turbine di merda che, grazie alla pubblicazione delle intercettazioni graziosamente fornite dai magistrati ai giornali, ne ha accompagnato la notizia, potrebbe aver indotto in qualche italiano, un sospiro di sollievo.

"Meno male che non c'è più la monarchia", avranno pensato, "altrimenti il Capo dello Stato sarebbe questo qua".

E in effetti, Vittorio Emanuele, oltre ai tratti fisiognomici, che non è che ispirino molta fiducia, non si è distinto particolarmente, nel corso della sua vita, per migliorare l'immagine di una casata, quella dei Savoia, già ampiamente sputtanata da suo nonno, re Vittorio Emanuele III.

"Il re era buono ma stupido" aveva scritto Hemingway del Vittorio Emanuele III della Grande Guerra, quando l'Italia era alleata degli Stati Uniti. Non so se cambiò idea quando i due paesi, vent'anni più tardi, si trovarono su fronti opposti. Ma forse no, perché a giudicare dalle parole attribuite da Curzio Malaparte a un gruppo di ufficiali americani del contingente alleato che risaliva la penisola nella parte conclusiva della Seconda Guerra Mondiale, sembrerebbe che il "Little King", come lo chiamavano, continuasse a ispirare agli americani, sentimenti di tenerezza:
« Quel povero Re » disse disse il Maggiore Morris, di Savannah, Georgia « non si aspettava certo un'accoglienza simile. Napoli è sempre stata una città molto devota alla Monarchia ».
« Eri in Via Toledo, oggi, quando il Re è stato fischiato? » mi domandò Jack.
« Che Re? » dissi.
« Il Re d'Italia » disse Jack.
« Ah, il Re d'Italia ».
« Lo hanno fischiato, oggi, in Via Toledo » disse Jack.
[...]
« Your poor King » disse il Colonnello Brand « mi dispiace molto per lui ». E aggiunse, sorridendomi gentilmente: « E anche per voi ».
« Thank a lot for him » risposi.

Curzio Malaparte, La pelle, Aria d'Italia, Roma - Milano, 1949
Non altrettanto teneri erano i sentimenti di coloro, fascisti e, in molti casi, antifascisti, i quali ritenevano che Vittorio Emanuele III altro non fosse che il "re fellone", il traditore che abbandonò la patria "l'ignobil" otto di settembre, come cantavano i militi della X Mas.

E c'è un'altra canzone dei tempi della Repubblica Sociale che esprime bene lo stato d'animo del momento:
Vogliamo scolpire una lapide
incisa su pelle di troia,
a morte la casa Savoia
noi siam fascisti repubblican.

A morte il re
viva Grazian,
evviva il fascio
repubblican!

"Vogliamo scolpire una lapide", in Inni e canti della Repubblica Sociale Italiana
In ogni caso, di lì a poco, il re abdicò a favore del figlio, Umberto II, e il suo operato di quei giorni tragici è ancor oggi oggetto di discussione: da un Galli della Loggia che parla di "morte della Patria" a proposito dell'8 settembre, a un Ciampi che sostiene che la fuga del re assicurò "la continuità delle istituzioni rifugiandosi in un territorio liberato dalla presenza tedesca".

Di Umberto II non c'è molto da dire se non che si comportò nobilmente quando, per evitare ulteriori tragedie al popolo italiano, decise di accettare il risultato del referendum sulla Monarchia pur sapendo che era stato taroccato; e che sembra non nutrisse molta stima nei confronti del figlio Vittorio Emanuele.

Del quale è noto l'interesse per le armi da fuoco, sia come hobby che come business.

Si dice che, negli anni '50, durante una crociera lungo le coste turche si divertisse a sparare, dalla barca, contro gli animali al pascolo, mentre, anni dopo, negli anni '70, fu indagato per traffico internazionale d'armi. Ma il momento più tragico fu nel 1978, quando, ubriaco fradicio, sparò alcuni colpi di fucile dalla sua barca, uno dei quali ferì mortalmente Dirk Hamer (figlio del famoso Ryke Geerd Hamer), che stava dormendo in una barca vicina.

Le altre sue grandi passioni, il far soldi e l'andare a puttane, hanno destato, come noto, l'interesse del magistrato di Potenza Henry John Woodcock. Il quale Woodcock, coerentemente con la sua memorabile affermazione:
Noi che viviamo in Tribunale siamo uomini fortunati perché, senza pagare il biglietto, abbiamo un posto in prima fila nel teatro della vita.

"Henry John Woodcock", in Wikipedia
si è divertito per mesi ad ascoltare le conversazioni telefoniche di Vittorio Emanuele. Facendo pagare il biglietto ai contribuenti italiani. Dopodiché ha disposto l'arresto del principe per associazione a delinquere e sfruttamento della prostituzione.

Dalla lettura delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche si ricavano due impressioni: che questa inchiesta, come altre di Woodcock, si risolverà molto probabilmente in una bolla di sapone; e che Vittorio Emanuele non è quel che si dice un uomo dai saldi principii morali.

Si direbbe, piuttosto, che sia un trafficone e un gran puttaniere (e, non so perché, ma quest'ultima caratteristica me lo rende simpatico).

E allora, dobbiamo rallegrarci che in Italia non ci sia più la monarchia? Il fatto che un re possa essere moralmente discutibile porta automaticamente al discredito dell'istituzione monarchica? Non saprei, ma mi sembra interessante, e affascinante, anche se un tantino inattuale, quel che scrisse al proposito Alexandre Dumas:
[...] un re costruisce soltanto quando gli è accanto Dio o lo spirito di Dio. [...] sappiate sempre distinguere i re dalla monarchia. Il re è soltanto un uomo, la monarchia è lo spirito di Dio. Quando voi sarete in dubbio di sapere chi dovete servire, abbandonate l'apparenza materiale per il principio invisibile. Perché il principio invisibile è tutto. Solamente, Dio ha voluto rendere tangibile questo principio incarnandolo in un uomo. [...] Se [il] re è un tiranno, perché l'onnipotenza ha in sé una vertigine che la spinge alla tirannia, servite, amate e rispettate la monarchia, cioè la cosa infallibile, cioé lo spirito di Dio sulla terra, cioè la scintilla celeste per la quale l'umana polvere si fa così grande e così santa che noialtri gentiluomini, anche d'altissima stirpe, siamo tanto poca cosa, davanti a questo corpo disteso sull'ultimo gradino di questa scala [il corpo di Luigi XIII di Francia, ndr], quanto questo stesso corpo davanti al trono del Signore.

Alexandre Dumas,
Vent'anni dopo, Gherardo Casini Editore, 1956

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