venerdì, giugno 30, 2006

Il desertificatore si lamenta del deserto

Bella questa! Letizia Moratti incontra il "popola della moda" a Palazzo Marino per brindare alla conclusione delle sfilate "Milano Moda Uomo" e Giorgio Armani si lamenta del "centro disabitato dopo una certa ora".

Giorgino, non contento di vendere i soliti stracci e gadget varii, offre anche cibo spazzatura (fusion nippo-peruviana!) nel suo localino per fighetti lobotomizzati che, però, è poco frequentato. E allora lui si incazza e protesta:
[...] i locali chiudono perché dicono che in centro non c'è nessuno.
Grazie al cazzo! Chi vuoi che vada in un centro commerciale chiuso? E chi ha trasformato il centro di Milano in uno spaccio di stracci per turisti giapponesi?

Ma, lamenta Giorgino:
[...] forse dovrebbero tenere aperto, all'inizio rischiando, certo costa...
Come dire, la faccia come il culo!

In compenso dalla Moratti arrivano segnali positivi. Accoglie, sì, gli stilisti con il consueto garbo:
Il Comune è casa vostra, per voi le mie porte sono sempre aperte, sappiate di poter contare su di me.
Ma intanto gli comunica che dell'assessorato per la moda, promesso a suo tempo da Albertini, non se ne parla proprio:
La moda non è solo eventi e comunicazione, ma anche tecnologia, ricerca, economia, cultura. Per questo abbiamo deciso di inserire la moda nelle deleghe dell'assessore alle Attività Produttive Tiziana Maiolo, che collaborerà con me e con tutta la giunta a un ulteriore rilancio di questo comparto.
Prendi e porta a casa Giorgino! E, ancora una volta, un "brava" alla Moratti, nella speranza che faccia restituire agli stilisti almeno un po' di quel tanto, troppo, che hanno preso a Milano.

Fonti: City, Libero

UPDATE 1: Fra le altre cose, Giorgino ha parlato anche "della necessità di una sorta di tribunale della moda che selezioni chi vuole sfilare".

UPDATE 2: Brava la Moratti un corno! Ma non doveva ritirarsi con il marito in un camper parcheggiato a San Patrignano?

martedì, giugno 27, 2006

Quote rosa (3): brutte iene, pettegole invidiose e in competizione

Prendendo lo spunto dal progetto di legge mirante a punire le discriminazioni uomo/donna varato recentemente dal governo Zapatero, anche Francesca Senette si pronuncia sulla questione delle quote rosa:

Facciamo un esempio: se domani al vertice dei vari quotidiani [...] ci fossero solo donne sarebbe cambiata la solfa? Basterebbe un incremento delle sottane per festeggiare? Forse sì, se le donne di potere si battessero per le altre donne: qualifiche alle redattrici, mansioni importanti alle colleghe, adeguamento di stipendi e qualità del lavoro migliore per le addette alla segreteria, alla reception, alle pulizie. Scusate la schietteza: io non ci credo, purtroppo la solidarietà femminile non esiste, le alleanze rosa sono un bluff! Siamo brutte iene, pettegole invidiose e in competizione. Le discriminazioni le fomentiamo noi! L'amore per le nostre sorelle, mica ce lo impone la legge!!!

Francesca Senette, "Solidarietà femminile e utopiche quote rosa", Libero, 27 giugno 2006

lunedì, giugno 26, 2006

Ordine dei giornalisti (1): chiudiamolo chiudiamolo... al più presto!

Che alcuni giornalisti siano finiti tra le ganasce dell'Ordine professionale a causa delle inchieste di questi ultimi tempi, non stupisce. Troppo spesso da qualche anno a questa parte c'è stata una contiguità tra informazione e poteri che andava ben oltre la necessità di curare le proprie fonti per avere notizie. Quello che sconcerta è però che la categoria non colga l'occasione per verificare quanti panni sporchi si nascondano dietro la supposta patina di imparzialità di cui presuntuosamente si avvolgono i giornalisti italiani.

[...] è di un mese fa la notizia sul presidente dell'Ordine dei giornalisti italiani, Lorenzo Del Boca, che si è recato in Tunisia per consegnare il «Blason d'amì de la Presse» al presidente della repubblica di quel paese Ben Alì. Peccato che la Tunisia sia nota in tutto il mondo per la sistematica violazione della libertà di stampa. Un Ordine così, forse, è meglio chiuderlo.


"Giornalisti superficiali e premi a chi reprime la stampa: un Ordine da chiudere", il Giornale, 26 giugno 2006

venerdì, giugno 23, 2006

Savoia (3): il senso della monarchia

L'arresto di Vittorio Emanuele di Savoia e il turbine di merda che, grazie alla pubblicazione delle intercettazioni graziosamente fornite dai magistrati ai giornali, ne ha accompagnato la notizia, potrebbe aver indotto in qualche italiano, un sospiro di sollievo.

"Meno male che non c'è più la monarchia", avranno pensato, "altrimenti il Capo dello Stato sarebbe questo qua".

E in effetti, Vittorio Emanuele, oltre ai tratti fisiognomici, che non è che ispirino molta fiducia, non si è distinto particolarmente, nel corso della sua vita, per migliorare l'immagine di una casata, quella dei Savoia, già ampiamente sputtanata da suo nonno, re Vittorio Emanuele III.

"Il re era buono ma stupido" aveva scritto Hemingway del Vittorio Emanuele III della Grande Guerra, quando l'Italia era alleata degli Stati Uniti. Non so se cambiò idea quando i due paesi, vent'anni più tardi, si trovarono su fronti opposti. Ma forse no, perché a giudicare dalle parole attribuite da Curzio Malaparte a un gruppo di ufficiali americani del contingente alleato che risaliva la penisola nella parte conclusiva della Seconda Guerra Mondiale, sembrerebbe che il "Little King", come lo chiamavano, continuasse a ispirare agli americani, sentimenti di tenerezza:
« Quel povero Re » disse disse il Maggiore Morris, di Savannah, Georgia « non si aspettava certo un'accoglienza simile. Napoli è sempre stata una città molto devota alla Monarchia ».
« Eri in Via Toledo, oggi, quando il Re è stato fischiato? » mi domandò Jack.
« Che Re? » dissi.
« Il Re d'Italia » disse Jack.
« Ah, il Re d'Italia ».
« Lo hanno fischiato, oggi, in Via Toledo » disse Jack.
[...]
« Your poor King » disse il Colonnello Brand « mi dispiace molto per lui ». E aggiunse, sorridendomi gentilmente: « E anche per voi ».
« Thank a lot for him » risposi.

Curzio Malaparte, La pelle, Aria d'Italia, Roma - Milano, 1949
Non altrettanto teneri erano i sentimenti di coloro, fascisti e, in molti casi, antifascisti, i quali ritenevano che Vittorio Emanuele III altro non fosse che il "re fellone", il traditore che abbandonò la patria "l'ignobil" otto di settembre, come cantavano i militi della X Mas.

E c'è un'altra canzone dei tempi della Repubblica Sociale che esprime bene lo stato d'animo del momento:
Vogliamo scolpire una lapide
incisa su pelle di troia,
a morte la casa Savoia
noi siam fascisti repubblican.

A morte il re
viva Grazian,
evviva il fascio
repubblican!

"Vogliamo scolpire una lapide", in Inni e canti della Repubblica Sociale Italiana
In ogni caso, di lì a poco, il re abdicò a favore del figlio, Umberto II, e il suo operato di quei giorni tragici è ancor oggi oggetto di discussione: da un Galli della Loggia che parla di "morte della Patria" a proposito dell'8 settembre, a un Ciampi che sostiene che la fuga del re assicurò "la continuità delle istituzioni rifugiandosi in un territorio liberato dalla presenza tedesca".

Di Umberto II non c'è molto da dire se non che si comportò nobilmente quando, per evitare ulteriori tragedie al popolo italiano, decise di accettare il risultato del referendum sulla Monarchia pur sapendo che era stato taroccato; e che sembra non nutrisse molta stima nei confronti del figlio Vittorio Emanuele.

Del quale è noto l'interesse per le armi da fuoco, sia come hobby che come business.

Si dice che, negli anni '50, durante una crociera lungo le coste turche si divertisse a sparare, dalla barca, contro gli animali al pascolo, mentre, anni dopo, negli anni '70, fu indagato per traffico internazionale d'armi. Ma il momento più tragico fu nel 1978, quando, ubriaco fradicio, sparò alcuni colpi di fucile dalla sua barca, uno dei quali ferì mortalmente Dirk Hamer (figlio del famoso Ryke Geerd Hamer), che stava dormendo in una barca vicina.

Le altre sue grandi passioni, il far soldi e l'andare a puttane, hanno destato, come noto, l'interesse del magistrato di Potenza Henry John Woodcock. Il quale Woodcock, coerentemente con la sua memorabile affermazione:
Noi che viviamo in Tribunale siamo uomini fortunati perché, senza pagare il biglietto, abbiamo un posto in prima fila nel teatro della vita.

"Henry John Woodcock", in Wikipedia
si è divertito per mesi ad ascoltare le conversazioni telefoniche di Vittorio Emanuele. Facendo pagare il biglietto ai contribuenti italiani. Dopodiché ha disposto l'arresto del principe per associazione a delinquere e sfruttamento della prostituzione.

Dalla lettura delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche si ricavano due impressioni: che questa inchiesta, come altre di Woodcock, si risolverà molto probabilmente in una bolla di sapone; e che Vittorio Emanuele non è quel che si dice un uomo dai saldi principii morali.

Si direbbe, piuttosto, che sia un trafficone e un gran puttaniere (e, non so perché, ma quest'ultima caratteristica me lo rende simpatico).

E allora, dobbiamo rallegrarci che in Italia non ci sia più la monarchia? Il fatto che un re possa essere moralmente discutibile porta automaticamente al discredito dell'istituzione monarchica? Non saprei, ma mi sembra interessante, e affascinante, anche se un tantino inattuale, quel che scrisse al proposito Alexandre Dumas:
[...] un re costruisce soltanto quando gli è accanto Dio o lo spirito di Dio. [...] sappiate sempre distinguere i re dalla monarchia. Il re è soltanto un uomo, la monarchia è lo spirito di Dio. Quando voi sarete in dubbio di sapere chi dovete servire, abbandonate l'apparenza materiale per il principio invisibile. Perché il principio invisibile è tutto. Solamente, Dio ha voluto rendere tangibile questo principio incarnandolo in un uomo. [...] Se [il] re è un tiranno, perché l'onnipotenza ha in sé una vertigine che la spinge alla tirannia, servite, amate e rispettate la monarchia, cioè la cosa infallibile, cioé lo spirito di Dio sulla terra, cioè la scintilla celeste per la quale l'umana polvere si fa così grande e così santa che noialtri gentiluomini, anche d'altissima stirpe, siamo tanto poca cosa, davanti a questo corpo disteso sull'ultimo gradino di questa scala [il corpo di Luigi XIII di Francia, ndr], quanto questo stesso corpo davanti al trono del Signore.

Alexandre Dumas,
Vent'anni dopo, Gherardo Casini Editore, 1956

lunedì, giugno 19, 2006

Come taroccare l'esame delle urine (facendo anche una certa impressione)

La mission della statunitense Urine Samples consiste nel risolvere i problemi di chi, pur indulgendo al consumo di droghe ed alcool, ha la necessità di affrontare serenamente un esame delle urine.

Oltre a fornire campioni di urina umana "pulita" da consegnare al laboratorio analisi al posto della propria, produce un fantastico kit, per chi l'urina la deve consegnare in "tempo reale". Il kit comprende, fra le altre cose, un pene finto "ultra realistico" e disponibile in tre tonalità di colore: nero, "carne" (credo che in una merceria direbbero "nudo") e "latino".

La protesi è dotata di pompetta per far defluire l'urina, sempre in maniera "ultra realistica".

E vuoi mettere l'effettaccio quando tiri fuori quel coso?

Link (via Kottke)

venerdì, giugno 16, 2006

Chi prende per il culo chi? E perché?

Vado di fretta, quindi vi risparmio il commento, per ora. Ma i ritagli qui sotto offrono più di uno spunto di discussione.

Fa più morti di tumore la cattiva alimentazione che non lo smog. [...]
Le percentuali, ha spiegato il professor Veronesi, parlano chiaro: all'inquinamento urbano si possono imputare dall'1 al 4% dei tumori, all'alimentazione ben il 30%, mentre un altro fattore di alto rischio sono le infezioni, cui si fa risalire il 18% dei cancri. [...] Concludendo sui rischi di cancro, Veronesi ha spiegato che "il 30% dei tumori sono collegati all'alimentazione", e i veri pericoli, più che nei tubi di scappamento delle automobili, sono nascosti "nei preoccupanti livelli di aflatossine e micotossine cancerogene presenti nella polenta e nel latte".

"Cancro, Veronesi controcorrente, 'Fa più male la polenta dello smog'", Repubblica.it, 14 marzo 2005

Inquinamento 'killer' in molte parti d'Italia: sono oltre 8mila, infatti, i decessi che si sono verificati fra il 2002 e il 2004 in 13 città del Belpaese per gli effetti a lungo termine delle sostanze atmosferiche nocive da particolato (Pm10) e dell'ozono. E' il principale dato emerso da un nuovo studio intitolato 'Impatto sanitario del Pm10 e dell'ozono' condotto dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms)-Ufficio regionale per l'Europa per conto dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (Apat), e presentato oggi a Roma in occasione del seminario di sanita' pubblica su inquinamento atmosferico, traffico urbano ed effetti sulla salute. [...] I dati dell'indagine Oms - spiega ancora la nota - si riferiscono in particolare alla mortalità per effetti a lungo termine attribuibile alle concentrazioni di Pm10 superiori ai 20 mg/m3, limite che la direttiva comunitaria 99/30/EC ha indicato per il 2010. Tra il 2002 e il 2004, una media di 8.220 morti l'anno sono state dovute agli effetti a lungo termine di tali alte concentrazioni, il che equivale al 9% della mortalità negli 'over 30' per tutte le cause esclusi gli incidenti stradali. Le nuove conoscenze disponibili sugli effetti sanitari del Pm10 consentono di 'scomporre' l'impatto della mortalità per gli effetti cronici oltre i 20 mg/m3 in cancro al polmone (742 casi/anno), infarto (2.562), ictus (329). Anche per le malattie i numeri sono elevati e includono bronchiti, asma, sintomi respiratori in bambini e adulti, ricoveri ospedalieri per malattie cardiache e respiratorie che determinano perdita di giorni di lavoro. Ma lo studio prende in considerazione anche l'impatto dell'ozono: si stima che provochi annualmente 516 morti nelle città italiane, che si aggiungono a quelle dovute al Pm.

"Smog, Pm10 e ozono uccidono 8mila italiani l'anno",
Adnkronos, 15 giugno 2006

Non sono riuscito a trovare nemmeno un ritaglio con la dichiarazione dell'esimio Prof. Veronesi sulle ottantamila morti all'anno, in Italia, causate dal fumo. La mia riconoscenza a chi vorrà darmi informazioni al riguardo.

giovedì, giugno 15, 2006

Il buffone di corte

Come temevo, Romano Prodi si conferma un buffone di corte (europea).

Ecco cosa dice il Foglio di oggi, nell'editoriale intitolato "Prodi alla corte di Luigi XVI":

Prodi, che qualche mese fa aveva sostenuto che di fronte a un blocco politico francese all’espansione dell’Enel si sarebbe provveduto a ritorsioni contro Edf presente in Edison, si è invece presentato con il cappello in mano, dopo aver approvato un decreto che abolisce la limitazione dei diritti di voto stranieri nelle aziende energetiche italiane. Da Jacques Chirac, naturalmente, non ha ottenuto nulla, neppure le frasi di buone intenzioni di prammatica, anzi ha dovuto subire una requisitoria contro le scalate ostili, come se queste non fossero il sale della libera concorrenza.

Il Foglio, 15 giugno, 2006

E' un problema reale, di cui si è parlato anche qui.

E allora, tanto per far qualcosa, propongo la seguente Google Bomb:



il cui risultato è:

Buffone di corte.

Nichi Vendola e il "tema della pedofilia"

Nichi VendolaPiccola premessa: qui nessuno sostiene che Nichi Vendola sia un pedofilo o che, più in generale, abbia qualcosa a che vedere con la pedofilia. Qui ci si limita a leggere e a riflettere. Chiaro?

Bene, ora possiamo passare alla lettura del famoso articolo di Libero che segue.

Così nel Palazzo si difendono i pedofili
Il caso dell’onorevole Nichi Vendola citato come esempio nei siti degli “orchi”.

Di Elisa Calessi

MILANO - C'è una lobby che difende i pedofili. Non immaginiamoci una massoneria segreta. La ragione sociale di questa combriccola è far sì che l'attrazione verso i bambini sia considerata, almeno giuridicamente, un orientamento sessuale lecito come un altro. In Parlamento o altrove, dovunque si è missionari di questa idea. A questo livello, oggi, si gioca la battaglia. Il modo è semplice: visto che l'omosessualità è socialmente - e giuridicamente - riconosciuta, basta assimilare ad essa la pedofilia e il gioco è fatto. Non c'entrano destra o sinistra. Si tratta di solidarietà tra chi la pensa allo stesso modo. Chi denuncia queste trasversalità, viene zittito. Libero, invece, prova a parlarne.

Ecco alcuni fatti. Il 19 marzo del 1985, il giorno della Festa del papà (prima strana coincidenza), Repubblica a pagina 4 pubblica un'intervista a
Nichi Vendola, poi parlamentare di Rifondazione comunista. Il titolo è: «Il gay della Fgci». Allora aveva 26 anni ed era appena stato eletto membro della segreteria nazionale della Fgci, il vivaio del Pci. Lo spunto è noto: Vendola è il primo dirigente comunista a essersi dichiarato apertamente gay. Si ripercorre la storia del partito e di come il tema dell'omosessualità abbia faticato a trovare un suo spazio. Fin qui, niente di strano. Poi, quasi al termine dell'intervista c'è una frase. Vendola dice: «Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro o con gli adulti - tema ancora più scabroso - e trattarne con chi la sessualità l'ha vista sempre in funzione della famiglia e della procreazione». La rileggiamo. Dice esattamente così: «diritto dei bambini ad avere una sessualità tra loro o con gli adulti». Possibile? In realtà il ragionamento non è nuovo, si trova in tutti i siti di pedofilia culturale. Primo: nei bambini la sessualità si sviluppa molto prima di quanto non si creda. I più coraggiosi fissano anche l'età: 10-11 anni. Dunque, se la sessualità infantile si sviluppa così presto, è lecito considerare i bambini, anche a livello sessuale, al pari degli adulti. E parlarne. Semplice e chiaro. La dichiarazione, riportata da un quotidiano nazionale non da un bollettino qualunque, non suscita scalpore. C'è qualche timida reazione nei giorni successivi, ma niente di più. La storia è confusa.

Chiamiamo Nichi Vendola. Gli chiediamo se ricorda quella frase. Dice: Certo che ricordo e mi arrabbiai. Fu il giornalista a capire male, il mio discorso era un altro. Ripeto: riportò male le mie parole. Io parlavo di libertà sessuale, mica di pedofilia». Perché invece... “Avere rapporti con i bambini è una patologia". Vendola, dunque, dice di non aver mai detto quella frase. Aggiungiamo per i maligni: se allora la disse, ora se ne dissocia.

Pochi mesi dopo, però, la rivista Nuova Solidarietà, nel numero del 6 maggio 1985 (pagina 4), riporta la stessa frase e sempre attribuita a Nichi Vendola. Citiamo di nuovo e la fonte, questa volta, non è Repubblica: «diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti sessuali con gli adulti». L’avrebbe pronunciata davanti all'assemblea dei militanti della Fgci quando, nel marzo del 1985, venne eletto membro della segreteria nazionale. Qualcun'altro se ne ricorda. Siamo nel sito della
Danish Pedophile Association, una delle più grandi associazioni internazionali di pedofili, che tutti sanno avere una redazione italiana a Bergamo. Qui si racconta l'episodio per intero. Citiamo (e con questo siamo a tre): «Nichi Vendola faceva il militante alla federazione giovanile comunista. Un giorno dovevano eleggere il segretario nuovo e presero proprio lui; allora egli andò a dire a tutti i presenti - militanti e anche giornalisti - che non è tanto facile discutere nel suo partito del diritto dei bambini ad avere una propria sessualità. E disse pure che è ancora più difficile una cosa, parlare delle relazioni fra bambini e adulti come se fosse un argomento come un altro. Insomma era davvero faticoso». Purtroppo, continua il testo, gente così non ce n'è più.

Dunque tre testi, diversi e indipendenti tra loro, riportano lo stesso episodio. Evidentemente non fu solo il giornalista di Repubblica a capire male. Si trattava di sedici anni fa, è lecito per chiunque cambiare opinione.

Bene. Passiamo a tempi più recenti. Il 24 ottobre del 1996 viene presentata in Parlamento una
proposta di legge (n.2551). Chi è il primo firmatario? Nichi Vendola. Il testo è agli atti. Si chiede di modificare la legge del 25 giugno 1993 «in materia di discriminazione». In pratica si propone di estendere le norme anti-discriminatorie già presenti per quanto riguarda la razza, l'etnia, la nazionalità e la religione, all’«orientamento sessuale». Per carità, l'intento è nobile. Vuol dire non discriminare chi ha propensioni sessuali diverse dalla media. E chi non è d'accordo? Peccato che tra le righe passi un concetto pericoloso. Non a caso, quando in commissione venne discusso il testo, si scatenò una feroce polemica proprio su questa definizione: «orientamento sessuale». Un parlamentare di An accusò: in questo, modo si finisce per legalizzare la pedofilia. Avrà esagerato, forse, ma colpisce una coincidenza. Il 5 dicembre scorso Radio Vaticana intervista Daniele Capezzone, portavoce dei Radicali, a proposito di un convegno promosso dal partito di Pannella nel '98 sul tema "Pedofilia e Intemet”. Capezzone spiega che la pedofilia «al pari di qualunque orientamento e preferenza sessuale, non può essere considerata un reato». Dunque è un «orientamento», dice Capezzone. Esattamente quanto dice il disegno di legge proposto da Nichi Vendola.

Libero, sabato 26 maggio 2001

mercoledì, giugno 14, 2006

W l'Italia

Al di là delle cose che dice, quello che mi dà più fastidio dell'intervista rilasciata da Prodi è che, ancora una volta, non si esime dal parlar male dell'Italia e degli italiani. E lo fa rivolgendosi ad una giornalista straniera, quindi a un pubblico straniero.

E' un brutto vizio che, purtroppo, hanno molti politici di sinistra. Italiani.

E' infatti molto improbabile che un politico di qualunque altra parte del mondo spari a zero in questo modo sul proprio paese.

Che poi lo faccia addirittura il Presidente del Consiglio è ai confini della realtà.

Molti italiani (soprattutto quelli che votano a sinistra), bisogna ammetterlo, hanno questo pessimo vizio di sparlare di sè stessi. E di incoraggiare e approvare gli stranieri che sparlano degli italiani. I quali non possono far altro che disprezzarci per questo.

Anch'io parlo male dell'Italia. Ma lo faccio esclusivamente con i connazionali. Non mi sognerei mai di farlo con degli stranieri. E quando mi capita di sentire degli stranieri che sparlano dell'Italia e degli italiani, gli mangio la faccia. E questi, immancabilmente, si stupiscono, ci rimangono male. Perché sono abituati a sentirsi dar ragione. Proprio da coloro di cui stanno sparlando.

Ho sempre considerato Prodi un "furbo". Ma dopo questa uscita penso che sia in realtà un cretino. Già godeva di pessima stampa, all'estero. Dopo questa intervista, la sua immagine di italico buffone di corte (europea), di italico cameriere pronto a scattare ossequioso al tinitinnar del campanellino dei suoi padroni stranieri (che non mancheranno di dargli una mancetta per i suoi servigi) è definitivamente confermata.

E anche voi, che gongolate per l'intervista di Prodi, siete dei cretini. Non vi rendete conto che tirare merda addosso a una larga parte degli italiani (più della metà, per la precisione) significa tirarla addosso a voi stessi.

UPDATE: E' confermato: il professore è un buffone di corte.

giovedì, giugno 08, 2006

La via democratica al guardaroba di classe

In casi come quello del pezzo di Maria Corbi pubblicato sulla Stampa di ieri non si capisce se sia più cretino l'articolo o l'argomento e le persone di cui si parla:

[...] scopriamo sul palco del teatro antico di Taormina, dove viene consegnato il premio de La Kore, l'Oscar della moda, una tendenza nel gusto che ha virato a sinistra come il voto degli italiani. Ma possibile che siano bastati pochi giorni di governo per cambiare il guardaroba? Chiara Boni, una delle premiate, dice che è possibile. «Basta guardarsi intorno per accorgersi che c'è uno stile
più amichevole, meno formale». E così, sarà un caso, a Taormina questa sera verranno premiati gli stilisti che si sono distinti per la loro moda «democratica». E sarà un caso che sul palco non ci sia nemmeno uno dei sarti
vicini al vecchio governo, Dolce e Gabbana in testa.

Maria Corbi, La Stampa, 7 giugno 2006.

La colonna sonora della serata non può che esser stata l'indimenticabile "Cretin Hop" dei Ramones:
There's no stoppin' the cretins from hoppin'
You gotta keep it beatin'
For all the hoppin' cretins

Cretin! Cretin!

I'm gonna go for a whirl with my cretin girl
My feet won't stop
Doin' the Cretin Hop

Cretin! Cretin!

1-2-3-4
Cretins wanna hop some more
4-5-6-7
All good cretins go to heaven.

martedì, giugno 06, 2006

Libertà di parola, retorica e giornalismo

L'ottimo (mi rettifico: "il pessimo") 1972 segnala l'intervista rilasciata dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad al settimanale tedesco Der Spiegel ed il successivo commento alla stessa, apparso sulla National Review, a firma di Michael Ledeen, noto studioso statunitense.

Lo Spiegel interroga Ahmadinejad sull'Olocausto:
SPIEGEL: Continua a sostenere che l'Olocausto è soltanto un "mito"?
Ahmadinejad: Riconoscerò qualcosa come veritiero soltanto quando sarò veramente convinto.
SPIEGEL: Anche se nessuno studioso occidentale nutre alcun dubbio riguardo all'Olocausto?
Ahmadinejad: Ma in Europa ci sono due scuole di pensiero al riguardo. Un gruppo di studiosi o persone, la maggior parte dei quali politicamente orientati, sostengono che l'Olocausto è avvenuto. Poi c'è un gruppo di studiosi che rappresenta la posizione opposta e per questo sono stati, per la maggior parte, messi in prigione. Quindi, deve essere costituito un gruppo imparziale che indaghi e si pronunci su un argomento così importante [...] Sarebbe quindi molto utile se un gruppo internazionale e imparziale prendesse in esame la materia allo scopo di chiarirla una volta per tutte. Di solito, i governi promuovono e sostengono il lavoro dei ricercatori sugli eventi storici e non li mettono in prigione.

L'imbarazzo dei giornalisti dello Spiegel è tale che fanno finta di non capire:

SPIEGEL: Chi sarebbero? Quali ricercatori intende?
Ahmadinejad:
Dovreste saperlo meglio di me; avete l'elenco. Ci sono persone in Inghilterra, in Germania, in Francia e in Australia.

Infatti avevano capito perfettamente:
SPIEGEL: Probabilmente lei intende, per esempio, l'inglese David Irving, il tedesco-canadese Ernst Zündel, che è sotto processo a Mannheim, e il francese Georges Theil, tutti negatori dell'Olocausto.
L'imbarazzo dei giornalisti dello Spiegel è facilmente spiegabile. Ahmadinejad, pur essendo per nulla credibile come paladino della libertà di ricerca e di pensiero,
ha detto una cosa vera. E cioè che in Europa chi mette in discussione l'Olocausto viene processato e gettato in carcere.

E' il caso
, per esempio, di David Irving condannato a tre anni di carcere dalla corte d'assise di Vienna per apologia del nazismo.

Fa una certa impressione che, nell'Europa del 2006, si possa essere incarcerati per reati di opinione ed è quindi comprensibile il disorientamento dei giornalisti dello Spiegel, che non possono far altro che incassare.

Ma secondo Michael Ledeen, i tre giornalisti tedeschi si sono dimostrati degli "incapaci", essendo caduti nelle "trappole retoriche" di Ahmadinejad, mentre avrebbero dovuto
rintuzzarlo, anche loro, a colpi di retorica:

Quando l'intervistatore dello Spiegel prova a suggerire che esiste una grande quantità di prove per l'Olocausto, Ahmadinejad, in un primo momento, ricorre ad uno dei suoi soliti sistemi per tappare la bocca al proprio interlocutore (“Di solito, i governi promuovono e sostengono il lavoro dei ricercatori sugli eventi storici e non li mettono in prigione”), come se il suo regime non avesse arrestato, torturato ed assassinato migliaia di iraniani che avevano provato a dire la verità sulle azioni del regime. Poi aggredisce il povero tedesco: Perché vi sentite in dovere di appoggiare il Sionismo? Perché voi tedeschi vi sentite ancora in colpa per l'Olocausto? “Perché, oggi, il popolo tedesco deve essere umiliato a causa di un gruppo di persone che commisero crimini in nome del popolo tedesco nel corso della storia?” Il giornalista dello Spiegel non ha la prontezza di chiedere ad Ahmadinejad come mai i jihadisti come lui basino le proprie azioni su eventi verificatisi secoli fa e poi hanno il coraggio di condannare i tedeschi perché si sentono colpevoli per le azioni dei loro genitori.

Michael Ledeen, "The Iranian Challenge", NRO, May 31, 2006

Quindi, secondo Ledeen, compito del giornalista non sarebbe ricercare e analizzare per raccontare ai suoi lettori qualcosa che si avvicini, anche vagamente, alla verità dei fatti, lasciando spazio al dubbio; non sarebbe, nel caso di un'intervista, porre domande all'intervistato in modo da farne emergere il pensiero in modo sufficientemente chiaro e obiettivo. Compito del giornalista sarebbe, secondo Ledeen, esporre i fatti dal proprio punto di vista ed utilizzare gli strumenti della retorica per criticare (o elogiare, a seconda dei casi) il pensiero degli intervistati allo scopo evidente di influenzare il lettore.

Non c'è dubbio che questo avvenga in continuazione, in ogni parte del mondo.


Ma non sarebbe stato meglio se i giornalisti dello
Spiegel avessero potuto rispondere, senza ricorrere alla retorica e senza mentire: "No, signor Presidente. Lei si sbaglia. In Europa, a differenza di quanto accade nel suo paese, ciascuno è libero di pensare e dire ciò che vuole e nessuno viene processato e imprigionato per le proprie opinioni, per quanto aberranti possano essere. Ciascuno è libero di esibire i simboli, politici o religiosi, che preferisce: croce cristiana, croce uncinata, croce celtica, falce e martello..."?

Non hanno potuto farlo.

P.S.
In effetti, in Europa come nel resto del mondo, esibire il simbolo della "falce e martello" è perfettamente legale.

Medicalizzazione

Madri che allattano più spesso e più a lungo, donne in gravidanza sempre più informate, ma anche sempre più «medicalizzate». Strette tra il timore di non fare tutto quanto è necessario per mettere al mondo un bimbo ragionevolmente sano e una pratica medica che approfitta delle loro ansie per sottoporle a inutili quanto costosi esami: fino a sette-otto ecografie rispetto alle tre consigliate per le gravidanze fisiologiche - la stragrande maggioranza -, innumerevoli visite mediche ed esami vari.

E' quanto emerge dall'ultima indagine Istat su «Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari». Per altro, questo eccesso non ha come esito almeno un parto più semplice. Al contrario, è il preludio alla «medicalizzazione» estrema: il parto cesareo. Con il suo quasi 37%, l'Italia ha una percentuale di parti cesarei di gran lunga più alta che tutti i Paesi dell'Unione Europea e doppia di quella raccomandata dall'Organizzazione Mondiale della sanità, per di più con una netta tendenza all'aumento negli ultimi cinque anni. Non è una scelta delle donne, che viceversa nella stragrande maggioranza opterebbero per il parto naturale, ma dei medici, spesso per pura convenienza organizzativa.


[...]

Chiara Saraceno, "L’affarone del parto cesareo", La Stampa, 6 giugno 2006

lunedì, maggio 29, 2006

OPA ostile sull'Italia

Gli stralci che seguono sono tratti da un'intervista rilasciata da Lorenzo Necci (deceduto ieri in seguito a un'incidente stradale) pochi giorni prima delle ultime elezioni politiche. Doveva comparire su un "grande quotidiano italiano" che, tuttavia, non la pubblicò.

[All'inizio degli anni Novanta] "La sinistra comunista aveva perso storicamente. Cosi' come i protagonisti della grande industria privata italiana. Ma il blocco di sinistra, alleato a poteri trasversali e al mondo degli affari, prende in mano il Paese per 10 anni con un accordo ben tutelato e garantito da giudici, giornali, servizi. Un vero capolavoro. Un'opa ostile fatta tutta su leverage dei beni delle societa' [statali] acquistate [grazie alle privatizzazioni] con la complicita' del management".

[...] le privatizzazioni avvengono senza liberalizzazione. Nessuna logica industriale. Monopoli pubblici resi privati con soldi delle banche e del mercato. Le 'privatizzazioni' andarono in porto come previsto, anzi meglio. Oggi vedo che ancora si parla di Telecom. Strano che non si parli anche di Iri e delle sue banche, sempre per fare un altro esempio. L'artefice di quelle privatizzazioni e' anzi il candidato premier del centrosinistra, il probabile, secondo i sondaggi, nuovo presidente del Consiglio.

[...] Nella visione dell'Italia di quegli anni la costante di fondo e' l'Europa. Nella visione della sinistra e dei poteri che l'hanno sostenuta sarebbe stata l'Europa il nuovo Stato che si prendeva cura dell'Italia. E per fare questo si e' anche pagato e giustificato un dazio altissimo per entrare in Europa. Prima la svalutazione di Giuliano Amato, che frutto' parecchie decine di migliaia di miliardi alla speculazione di quel momento.

[...] "Pur ottenendo una vittoria sostanziale con una maggioranza fortissima e con una sinistra in crisi, Belusconi non interviene, almeno cosi' appare, sui 'poteri forti', che egli considera suoi nemici. E lo sono in effetti. Perche' non lo fa? Nella sostanza Berlusconi non cambia nulla nei confronti di coloro che hanno portato avanti il Paese negli anni Novanta. Nei cinque anni del suo governo, le forze economico-finanziarie e politiche, genericamente chiamate i 'poteri forti' e 'la sinistra' hanno avuto il tempo e anche l'opportunita' di riorganizzarsi e ora stanno preparando cosi' il secondo atto post-Berlusconi. In politica estera Berlusconi fa scelte politiche precise e forti: lascia Francia e Germania, si lega agli Stati Uniti anche in scelte molto difficili oltre che coraggiose. Ma sembra che in politica interna non gliene venga nulla. L'Europa franco-tedesca e le alleanze internazionali dei suoi nemici continuano la loro politica di espansione in Italia e la loro guerra al governo come se nulla fosse, come se il 2001 fosse gia' passato. La sinistra e' tanto sicura della propria posizione che si permette il lusso di aprire un guerra al proprio interno sul problema del potere, delle banche e addirittura sul problema della 'loro' questione morale".

[...] "In conclusione: 1991-2001 fine sostanziale della democrazia. Se poi parliamo di economia, guardiamo di chi e' l'Italia oggi e di chi era quindici anni fa. Basta prendere il Corriere della Sera. Italia in parte svenduta e in parte colonizzata. Guerre economiche tuttora aperte. Ricatti giganteschi tuttora in corso. Quello che avrebbe dovuto essere l'elemento vero di cambiamento istituzionale e di modernizzazione, per il quale pagare i prezzi delle privatizzazioni, dell'abbattimento della classe politica e manageriale 'corrotta', dello Stato libero della politica di parte, cioe' l'Europa, dove e'? Non c'e' questa Europa, non c'e' piu', non si vede!

[...] Chi, oggi, in Italia e' privo di ricatti? In altri termini chi e' libero di parlare veramente, dicendo cio' che e' giusto e cio' che pensa, senza essere condizionato dall'inestricabile ginepraio dei ricatti che emergono solo quando qualche giudice o alcuni giornali decidono di farli uscire. Credo di poter dire: pochissime persone che in genere hanno gia' pagato tanto. Io penso di essere tra questi. Non perche' sia immune da altri, rovinosi, attacchi. Ma solo perche' dopo dieci anni di violenze gratuite non mi importa piu' di affrontarne altre in nome della dignita' e della verita'".

Gianluigi Da Rold, Dagospia, 29 maggio 2006

venerdì, maggio 26, 2006

Gli "esperti" e l'aereo sul Pentagono

Sing non si fida di Maurizio Blondet e crede invece agli "esperti". Invece io non mi fido degli "esperti" e sono convinto che non spetta a loro stabilire qual è la verità. Sono uomini anche loro. E più pretendono di spiegarci la verità sbattendoci in faccia la loro supposta "autorevolezza", più mi viene da mandarli affanculo. Stabilire qual è la verità spetta a ognuno di noi, documentandoci per quanto possibile e applicando il buon senso. E formandoci un'opinione senza farci influenzare da tutte le cazzate: i "comunisti", i "bovari leghisti", Berlusconi ecc. Tutte stronzate! Io proprio non capisco come si possa identificarsi in maniera così fanatica con una parte politica. Boh...

Comunque, l'articolo di Blondet l'ho letto e mi sembra che dica, almeno in parte, cose sensate. Chemmifrega se è un complottista!

La verità è un pulviscolo sparso dal vento. Ne puoi trovare granelli ovunque.

Ah già, non bisogna spargere il dubbio, non è il momento. Ma per favore!

Cronaca Vera

Oggi devo portare la motrice in officina. Sempre problemi!